L’episodio 3×06 di Black Mirror, noto anche come Odio Universale, riproduce, insieme ad Orso Bianco, gli effetti della giustizia popolare sulla società.
La storia inizia con il presunto omicidio di una giornalista, il cui ultimo articolo ha scatenato l’indignazione dei social: perseguitata su Twitter e offesa nelle mail, non le resta nulla da fare se non ignorare i propri haters…fino alla morte.
La settimana successiva a subire la sua stessa sorte è un rapper odiato per aver maltrattato un bambino in diretta: aggredito dallo stesso assassino della giornalista, morirà per un episodio di malsanità. Trasportato in risonanza per una diagnosi (senza i dovuti accertamenti sulla presenza di materiali metallici), morirà perché il campo magnetico trascinerà via dal suo corpo l’arma del delitto.
Cosa unisce queste due morti se non l’odio del web?
Ed è proprio un hashtag la causa del loro ingiusto decesso: Twitter è bloccato in un malsano gioco in cui #deathto sancisce la morte di una persona ogni settimana alla stessa ora. E cosa può fare un hater se non approfittarne per condannare a morte, senza sporcarsi apparentemente le mani, personaggi politici e presunti criminali?
Ciò che Odio Universale vuole insegnarci è che i social sono una finzione, ma l’odio che noi esprimiamo verso altri è vero. E sono reali anche i sentimenti che i nostri bersagli provano. Tendiamo a credere che internet sia un gioco: scriviamo tutto quello che pensiamo, nella falsa credenza che non vi siano responsabilità o conseguenze, giustificando tutte le nostre malefatte con “era solo uno scherzo”.
In questo contesto, il sadico gioco del #deathto ha come unico scopo far comprendere al mondo che tutte le nostre azioni sui social hanno ripercussioni sulla vita reale, rendendo tutti complici degli omicidi. E una volta scoperto il meccanismo alla base dei decessi, gli hater si trasformano da complici a carnefici, si innalzano a giudici, continuando a twittare sentenze di morte.
Come in Orso Bianco, anche in Odio Universale è emersa la crudeltà del giudizio popolare, poiché le persone si fanno nuovamente guidare da sentimenti negativi quali la vendetta invece della giustizia. E a rendere eque le sentenze sarà il serial killer, che sterminerà, con l’ausilio di api robotiche, tutti coloro che hanno preso parte al sadico gioco.
I tweet degli haters hanno decretato la loro fine, così come i loro segnali di odio hanno sancito il decesso di persone innocenti. Possiamo definire anche loro delle vittime?
E voi avreste mai usato l’hashtag?