Menashe è un film di Joshua Z Weinstein, girato interamente in Yiddish, che ripercorre le vicende di un commesso ebreo.
Vedovo da più di un anno, l’assenza di una donna nella sua vita è un impedimento al coronamento dei suoi sogni: per ordine del Ruv, suo figlio Rieven dovrà vivere con lo zio, finché Menashe non convolerà nuovamente a nozze.
Commesso mite e gentile, Menashe è continuamente sfruttato dal datore di lavoro, conscio dei suoi problemi economici. Ma il protagonista non si farà intimidire dalla sua povertà e lotterà fino alla fine per riavere indietro suo figlio e riconquistare il diritto alla paternità, di cui è stato privato alla morte della consorte.
Il film, grazie alle scene secondarie e ai piccoli accorgimenti, mostra svariati spunti di riflessione sulla società odierna, toccando i diritti delle donne, il ruolo della religione e il concetto di apparenza.
- La nipote di Menashe, che compare solo per pochi secondi in tutto il film, si lamenta della impossibilità di andare al College, poiché sarebbe contrario ai desideri del Ruv. Emerge, di conseguenza, una critica del ruolo della donna nelle religioni: essa può essere solo moglie e madre, che aiuta a realizzare il marito, senza mai realizzare sé stessa. Questa sottomissione forzata della donna è interiorizzata dai personaggi più maturi, come la vedova con cui Menashe ha un appuntamento: ella si lamenta della possibilità,per le donne, di guidare, ledendo diritti che non sa di avere.
- Nel negozio dove lavora il protagonista vi sono dei messicani, la cui presenza sarà fondamentale per lo sviluppo della trama: il loro cattolicesimo si oppone alla ortodossia della comunità ebraica, ribaltando il punto di vista di Menashe. Lui, vedovo che desidera disperatamente riavere il proprio figlio, viene visto come uno scapolo libero di gestire la propria vita. Rinuncerà a questa libertà?
- Alla cena di commemorazione per la defunta moglie, l’infelice protagonista non è in grado di preparare un pasto all’altezza. Nonostante le pietanze insipide e bruciate, il Ruv le definisce degne della tavola di un re: a essere esaltato non è il cibo in sé, bensì la fatica che si cela dietro, il desiderio di mostrarsi all’altezza della situazione. Colui che viene criticato come ebreo, viene esaltato come uomo e padre.
- Nell’intero film, Menasha deve compiere una decisione importante: essere sconfitto da una società e da una religione di cui non si sente parte e riavere indietro suo figlio o salvare la propria individualità, uscire vincitore da una lotta contro l’omologazione e perdere per sempre ciò che ama. Voi cosa scegliereste?
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